L’A.N.D.C.I. CONTRO LA COMPRESSIONE DEI DIRITTI FONDAMENTALI DEI CITTADINI A CAUSA DELLA PANDEMIA

Mar 14, 2022 | News | 0 commenti

L’ANDCI – Associazione Nazionale dei Difensori Civici Nazionali –  interviene per assicurare la tutela dei diritti fondamentali del cittadino e per la difesa di tali diritti dinanzi alla Pubblica Amministrazione. Non è legittima la compressione dei diritti fondamentali dei cittadini a causa della Pandemia”-

In proposito è stata,di recente, pubblicata una importante sentenza del Tribunale di Pisa che affronta il problema, sollevato da più parti, della limitazione dei diritti  dei Cittadini a  causa delle restrizioni dovute alla Pandemia che affligge ancora il Nostro Paese.

La sentenza affronta in maniera esemplare, con argomentazioni sul piano giuridico e costituzionale del tutto condivisibili,  tutte le problematiche connesse alla emanazione dei vari provvedimenti del Governo per far fronte alla crescente epidemia ma non scevri da critiche nella forma e nei contenuti che, a parere del Giudicante Pisano, appaiono costituzionalmente illegittimi.

Pubblichiamo la sentenza,  limitandone i contenuti ai passaggi fondamentali, che è in linea con gli avvisi già evidenziati dai Difensori Civici, anche  per i riflessi del decisum sull’attività della P.A..

  • §§

TRIBUNALE PENALE DI PISA, sentenza n. 1842/2021 del 8 novembre 2021, dep 17 febbraio 2022.

Agli imputati è stata contestata, ai sensi dell’art. 650 c.p., la violazione dell’ordine imposto con DPCM dell’8/03/2020, per ragioni di igiene e sicurezza pubblica, di non uscire se non per motivi di lavoro, salute o necessità. In merito a tale reato si ritengono sussistenti i presupposti per Ia pronuncia di assoluzione nella formula piu ampia e favorevole al reo, perché il fatto non sussiste e non perché il fatto non e più previsto dalla Iegge come reato, con trasmissione degli atti al Prefetto, in quanto non si reputa il DPCM 08.03.2020 costituente provvedimento legalmente dato dall’Autorità, come per contro richiesto dall’art. 650 cp.

Si rileva dagli imputati che a causa della epidemia da COVID-19, al fine di tutelare Ia salute pubblica, sono state emanate disposizioni che hanno comportato la sospensione e compressione di alcune libertà garantite dalla nostra Carta Costituzionale, come previsti dagli artt. 13 e seguenti della stessa.

Si tratta di libertà che concernono i diritti fondamentali dell’uomo e costituiscono il “nucleo duro” della Costituzione stessa, tanto che, secondo la dottrina prevalente (Cfr. C. Mortati, in “Una e indivisibile”, Milano, Giuffre 2007, p. 216; G. Azzariti, in Revisione Costituzionale e rapporto tra prima e seconda parte della Costituzione, in Nomos, Quadrimestrale di teoria generale, diritto pubblico comparato e storia costituzionale, n. 1-2016, p. 3.) non sono revisionabili nemmeno con il procedimento di cui all’art. 138 Cost. – Revisione della Costituzione, ragion per cui occorre verificare se, a quali condizioni e con quali modalità, in situazioni emergenziali, tali diritti possano essere compressi a tutela di altri diritti anch’essi costituzionalmente previsti.

Orbene, la Costituzione italiana non prevede alcun articolo che disciplini lo stato d’emergenza/d’eccezione, volta a ricomprendere tutte quelle situazioni diverse (purché interne) che non si riferiscano al vero e proprio “stato di guerra” previsto ex art. 78 Cost. (inerente conflitti bellici esterni).

Per altro, la situazione attuale causata dal Covid 19 non è nemmeno giuridicamente assimilabile allo “stato di guerra”, per cui non è possibile far ricorso all’applicazione analogica dell’art. 78 Cost.: del resto, atteso che l’assenza di uno specifico diritto speciale per lo stato di emergenza è frutto di una consapevole scelta dei padri costituenti onde evitare che attraverso la dichiarazione della stato di emergenza si potessero comprimere diritti fondamentali con conseguente alterazione della stesso assetto dei poteri.

Peraltro, in dottrina si rileva che all’interno dell’ordinamento costituzionale italiano sia comunque rinvenibile un “implicito statuto costituzionale dell’emergenza”, quale espressione dei tradizionali principi del primum vivere e del salus rei publicae, che è costituito dai principi di unità ed indivisibilità della Repubblica, di tutela della salute pubblica e della pubblica sicurezza, da specifiche fonti sulla produzione normativa determinata dalla necessità ed urgenza e dall’intangibilità dei principi supremi del vigente ordine costituzionale, primi su tutti i diritti fondamentali, i quali – per espressa volontà dei padri costituenti – si trovano tra loro in rapporto di integrazione reciproca e mai di prevalenza di uno rispetto agli altri mentre “dalla sentenza 83/2013 della Consulta si evince chiaramente che Ia tutela dei diritti non può ingigantirsi a tal punto da tiranneggiare sulla protezione di altri diritti di pari natura costituzionale.”

Pertanto, qualora emergano situazioni emergenziali, in cui si ravvisi Ia necessità di dare attuazione ai principi precauzionali del primum vivere e del salus rei publicae, occorre sempre tener presente che non è possibile istituire una gerarchia tra le varie figure di diritti fondamentali, non sussistendo nell’ordinamento costituzionale alcuna presunzione assoluta di prevalenza di un diritto su tutti gli altri.

Quindi, qualora l’esercizio di un diritto comporti, in caso di necessità ed urgenza, la limitazione di altri, ciò deve avvenire nel rispetto dei principi della legalità, riserva di Legge (assoluta o relativa), necessità, proporzionalità, bilanciamento e temporaneità, in quanta, altrimenti, si determinerebbe l’insorgere del cd. “diritto tiranno” (avanti al quale tutti gli altri diritti dovrebbero soccombere), con conseguente non solo violazione della Costituzione, ma addirittura superamento del perimetro delineate dalla carta costituzionale (non una incostituzionalità ma una “a-costituzionalità“, Cfr. F.Giulimondi, “La Costituzione ai tempi del coronavirus (sottacendo sulla “costituzione sospesa“)”, in Foroeuropa, 2020, n. 2).

Poiché nella situazione venutasi a creare con la diffusione del virus denominato Sars-Cov-2, si è ravvisata Ia necessità di contemperare Ia tutela dei diritti fondamentali del singolo individuo con quella della salute pubblica, garantita dall’art. 32 Cost., non è irrilevante, ai fini della decisione, verificare se la composita filiera normativa emergenziale posta in essere dal Governo – costituita dalla deliberazione dello stato di emergenza e successive proroghe, dai decreti Legge e dai DPCM – rispetti o meno principi di legalità e di riserva di Legge, di temporaneità, ragionevolezza, bilanciamento, e proporzionalità, così come sanciti dalla Carta Costituzionale, e se, pertanto, le delibere emesse dal Consiglio dei Ministri, i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri abbiano o meno una copertura normativa.

Lo statuto dell’emergenza trae “origine” dalla Delibera 20 del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 – emessa in forza del combinato disposto degli artt. 7, comma 1, lettera c), e 24, comma 1 del D.Lgs 2 gennaio 2018, n. 1 – con cui veniva dichiarato per sei mesi lo stato di emergenza nazionale “in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”.

Orbene, il D.Lgs,all’art. 7,individua le tipologie degli eventi emergenziali, fra le quali rientrano, lett. c), le: “emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo ai sensi dell’articolo 24”.

Si tratta,a questo punto,di verificare se il “rischio sanitario” connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, fondante Ia delibera del Consiglio dei Ministri, rientri o meno negli “eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo”, di cui all’art. 7 sopra citato, laddove,per tali,si intendono le calamità naturali, quali terremoti, maremoti, alluvioni, valanghe ed incendi.

Si deve rilevare come l’epidemia o la pandemia non rientrino in alcun modo nell’ambito della calamità naturale, per il semplice motivo che sono dimensioni di crisi del tutto diverse fra di loro. lnfatti, la pandemia, e “una epidemia con tendenza a diffondersi ovunque, cioè a invadere rapidamente vastissimi territori e Continenti”.

La pandemia può dirsi realizzata soltanto in presenza di queste tre condizioni: un organismo altamente virulento, mancanza di immunizzazione specifica nell’uomo e possibilità di trasmissione da uomo a uomo; l’epidemia è una manifestazione collettiva d’una malattia (colera, influenza ecc.), che rapidamente si diffonde fino a colpire un gran numero di persone in un territorio più o meno vasto in dipendenza da vari fattori, si sviluppa con andamento variabile e si estingue dopo una durata anche variabile.

Il Legislatore, nel redigere un testo onnicomprensivo sulla Protezione civile con il d.lgs. 1/2018non ha indicato il rischio epidemico fra quelli a causa dei quali occorre intervenire, previa dichiarazione di stato di emergenza comunale, regionale o nazionale.

Dentro i piccoli argini del rischio igienico sanitario – di competenza legislativa esclusiva delle Regioni – non si possono far rientrare le dimensioni nazionali ed internazionali di una pandemia, di spettanza normativa esclusiva dello Stato.

Pertanto, le disposizioni normative poste a base della dichiarazione dello stato di emergenza del 31.01.2020 nulla hanno a che vedere con situazioni di “rischio sanitario”, qual è quello derivato dal virus Sars-Cov-2 (certamente evento calamitoso), riguardando altri e diversi eventi di pericolo: “eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo” (recita l’art. 7 comma 1) lett. C D.Lgs n. 1118), vale a dire calamità naturali, quali terremoti, maremoti, alluvioni, valanghe ed incendi, con Ia conseguenza che viene meno il fondamento giuridico di rango primario della delibera del 31.01.2020.

Manca, perciò, un qualsivoglia presupposto legislativo su cui fondare Ia delibera del Consiglio dei Ministri del 31.1.2020, con consequenziale illegittimità della stessa per essere stata emessa in violazione dell’art. 78, non rientrando tra i poteri del Consiglio dei Ministri quello di dichiarare lo stato di emergenza sanitaria.

In conclusione, la delibera dichiarativa dello stato di emergenza adottata dal Consiglio dei Ministri il 31.1.2020 è illegittima per essere stata emanata in assenza dei presupposti legislativi, in quanto non è rinvenibile alcuna fonte avente forza di Legge, ordinaria o costituzionale, che attribuisca al Consiglio dei Ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario come pure  devono reputarsi illegittimi tutti i successivi provvedimenti emessi per il contenimento e Ia gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID 19, nonché tutte le successive proroghe dello stesso stato di emergenza.

Infatti,oltre alla illegittimità della dichiarazione dello stato di emergenza, si ravvisano violati i principi di legalità e di riserva di legge, in quanto – nel modello emergenziale costruito dal Governo – le libertà fondamentali sarebbero state limitate formalmente da norme di rango primario (ovvero dai vari decreti Legge fin in qui adottati) ma nella sostanza sono state compresse dai DPCM, atti di natura amministrativa.

Con Ia dichiarazione dello stato di emergenza, il Governo assume la gestione dell’emergenza sanitaria da Covid 19, mediante il ricorso alla decretazione d’urgenza, di cui all’art. 77 Cost., a sua volta posta alla base dei DPCM, con i quali sono state adottate misure più stringenti e limitative dei diritti fondamentali degli individui, anche rispetto a quanto previsto negli stessi decreti – Legge, primo tra tutti il decreto Legge n. 6 del 23 febbraio 2020.

Infatti, il DL n. 6/2020 conferisce al Governo ed in particolare al Presidente del Consiglio – all’art. 1 – ampi poteri con delega in bianco, con il limite del rispetto dei criteri dell’adeguatezza e della proporzionalità, laddove si dispone che “le autorità competenti possono adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”, nonché – all’art. 2 – una delega in bianco, senza limitazione alcuna, laddove si dispone che “le autorità competenti possono adottare ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza, al fine di prevenire Ia diffusione dell’epidemia da COVID-19”, senza specificazione alcuna in ordine alla tipologia e aile misure atipiche, anche fuori dai casi disciplinati dall’articolo 1, comma 1 e, dunque, diverse da quelle previste nel decreto Legge in questione, con ciò eludendo sia Ia riserva di Legge posta a livello costituzionale, sia il principio di legalità non solo formale ma anche sostanziale.

Quindi,ogni misura di contenimento e di gestione dell’emergenza, dettata dall’evolversi della situazione epidemiologica, e adottata, sulla base della suddetta procedura, nella forma giuridica del DPCM, ovvero di un atto monocratico, di titolarità e responsabilità politica del presidente del Consiglio dei Ministri, risulta,come tale,sottratto al vaglio del Presidente della Repubblica, del Parlamento, della Corte Costituzionale e della stessa Corte dei Conti.

In tal modo – come affermato da autorevole dottrina (cfr. A. Lucarelli – Costituzione, fonti del diritto ed emergenza sanitaria, in Rivista AIC 2020 n. 2)- il fondamento giuridico, costituito dai decreti Legge, si presenta a “maglie larghe“, consentendo ai DPCM un eccesso di discrezionalità, non proporzionata ed adeguata.

Nel caso di specie, si tratta di un ampio trasferimento di poteri a favore del Presidente del consiglio dei ministri che, con discrezionalità, ogni qualvolta ritenga che la misura sia adeguata e proporzionata per affrontare la crisi epidemiologica, può adottare atti amministrativi, e finisce per innovare l’ordinamento giuridico.

Di fatto, la riserva di Legge assoluta che, a determinate condizioni, legittima la limitazione dei diritti fondamentali, a partire dalla libertà di circolazione, si trasforma in una riserva di atto amministrativo (DPCM), con un evidente vulnus al principio di legalità sostanziale.

Si tratta, dunque, di atti amministrativi capaci di incidere potenzialmente ed in effetti incidono su tutta la prima parte della Costituzione, con violazione della riserva di legge assoluta e del principio di legalità.

Appare evidente come sia stata conferita al Presidente del Consiglio una delega generale, sia in violazione dell’art. 76 Cost. (rilevandosi che una siffatta delega non potrebbe nemmeno essere conferita al Consiglio dei Ministri, senza indicazione da parte del Legislatore (rectius Parlamento) dei limiti e degli ambiti in cui esercitare la funzione legislativa delegata), sia in violazione dell’art. 78 Cost., in quanto la situazione di emergenza sanitaria non rientra nella previsione di tal norma costituzionale (ove, per altro, si parla di conferimento al Governo, quale organo collegiale, dei poteri necessari e non di certo qualsiasi potere).

In altri termini, viene delegato al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di attuare misure restrittive, molto ampio e senza indicazione di alcun limite, nemmeno temporale, con compressione di diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, quali Ia libertà personale (art. 13 Cost), Ia libertà di movimento e di riunione (artt. 16 e 17 Cost.), il diritto di professare liberamente Ia propria fede religiosa, anche in forma associata (art. 19 Cost.), il diritto alia scuola (art. 34 Cost.), il diritto al lavoro (art. 36 Cost), il diritto alia libertà di impresa (art. 41 Cost.), e tutto ciò, si ribadisce, non con legge ordinaria, ma con un decreto del Presidente del Consiglio, che risulta inficiato da illegittimità per diversi motivi, tra cui: a) mancanza di fissazione di un effettivo termine di efficacia; b) elencazione meramente esemplificativa delle misure di gestione dell’emergenza adottabili dal Presidente del Consiglio dei Ministri; c) omessa disciplina dei relativi poteri.

Pertanto, la illegittimità del DPCM del 8/3/2020 (come pure di quelli successivi emanati dal Presidente del Consiglio dei Ministri), risulta evidente ove viene stabilito all’art. 1 che, allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19, sono adottate le misure volte ad evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessita ovvero spostamenti per motivi di salute, consentendo il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza;” e ove, all’art. 4, rubricato come Monitoraggio delle misure, il mancato rispetto degli obblighi di cui al DPCM de quo viene punito ai sensi dell’art. 650 c.p.

Tale disposizione risulta poi estesa a tutto il territorio nazionale per effetto del D.P.C.M. 9 marzo 2020,recante misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale, innovando l’ordinamento giuridico con misure sempre più stringenti e limitative delle libertà.

Infatti,con tali provvedimenti, aventi natura meramente amministrativa, si è stabilito un divieto generale e assoluto di spostamento, salvo alcune eccezioni; divieto che si configura, perciò, in un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare e come tale limitativo del diritto di liberta personale, rilevandosi come Ia possibilità di spostamento per comprovate esigenze lavorative veniva riconosciuto unicamente ai lavoratori che esplicavano Ia propria attività nell’ambito dei c.d. servizi essenziali, mentre tutte le restanti attività economiche erano state sospese.

Per l nostra Costituzione uno dei diritti fondamentali, il più importante, è costituito dalla libertà personale.

Sul punto, dopo l’art. 3, che sancisce la pari dignità sociale di tutti i cittadini, la Carta Costituzionale indica una serie di diritti inviolabili, fra i quali pone al primo posto quello della libertà personale con l’art. 13, il quale nei primi tre commi dispone: “La libertà personale e inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla Legge.

In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla Legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. [ …)”, sancendo cosi l’inviolabilità della persona (habeas corpus) nei confronti di potenziali abusi delle pubbliche autorità e richiedendo la sussistenza di precisi presupposti giuridici per poterne limitare la libertà.

Nel nostro ordinamento giuridico, l’obbligo di permanenza domiciliare configura una fattispecie restrittiva della libertà personale e, in quanto tale, può essere irrogata solo dal Giudice con atto motivato nei confronti di uno specifico soggetto, sempre in forza di una legge che preveda “casi e modi”.

Quindi, “in nessun caso l’uomo potrà essere privato o limitato nella sua libertà se questa privazione o restrizione non risulti astrattamente prevista dalla legge, se un regolare giudizio non sia a tal fine instaurato, se non vi sia provvedimento dell’autorità giudiziaria che ne dia le ragioni” (Corte Cost. sentenza n. 11 del 19 giugno 1956), avendo il Costituente posto a tutela della inviolabilità personale tre garanzie: a) Ia riserva di Iegge assoluta, per cui solo il legislatore può intervenire in materia e porre dei limiti; b) Ia riserva di giurisdizione, potendo solo l’autorità giudiziaria emettere provvedimenti restrittivi della libertà personale; c) l’obbligo di motivazione, dovendo essere esplicitate le ragioni alla base dei provvedimenti restrittivi.

Perciò, il vietare ad una persona fisica ogni spostamento anche all’interno del territorio in cui vive o si trova, configurandosi quale vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare, a mente dell’ art. 13 Cost., richiede una specifica disposizione legislativa e un atto motivato dell’autorità giudiziaria.

Altro diritto che risulta violato e quello della libertà di circolazione, di cui all’art. 16 Cost., in forza del quale “Ogni Cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza[ … ]”.

L’art. 16 afferma e tutela Ia libertà di circolazione dei cittadini, cioè la libertà di muoversi liberamente da un luogo ad un altro, senza necessità alcuna di richiedere permessi o render conto ad alcuno dei motivi dei propri spostamenti, e, nel far salve le limitazioni a tale libertà, pone dei limiti alia discrezionalità del legislatore, predeterminando già alcuni contenuti che la legge deve avere, c.d. principio di riserva di Legge rinforzata, in quanto Ia libertà di circolazione e soggiorno può essere impedita solo in via generale, nel senso che l’inciso “limitazioni che la legge stabilisce in via generale” “debba essere applicabile alia generalità dei cittadini, non a singole categorie” (cfr. Corte Cost. n. 2/1956), e per motivi di sanità e sicurezza, principio che comunque impedisce restrizioni stabilite sulla base di atti aventi natura diversa dalla legge statale.

Le limitazioni sono dunque garantite da una riserva di legge, con la conseguenza che solo atti aventi valore primario possono prevederle (legge, decreto legge e decreto legislativo) e non provvedimenti aventi natura amministrativa, quali sono per l’appunto i DPCM.

Peraltro, il Decreto Legge del 23.02.2020 n. 6, convertito, con modifiche, dalla legge del 05.03.2020 n. 13, nell’attribuire alle autorità competenti il potere di adottare ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica.”, faceva riferimento ad alcune zone specifiche, alle zone c.d. “rosse”, e non già all’intero territorio nazionale e, né in sede di conversione del decreto, né con altra fonte primaria, è dato rinvenire alcuna estensione, tant’è che il DPCM deii’08.03.2020 si applicava solo alla regione Lombardia e alcune Province mentre solo con il DPCM del 09.03.2020 venivano estese le disposizioni del primo DPMC a tutto il territorio nazionale.

Consegue, allora, che le misure limitative alia libertà di circolazione di cui ai successivi DPCM risultano essere prive di fondamento legislativo di rango primario, in patente violazione, quindi, della stessa riserva di legge di cui all’art. 16 Cost.

E ancora.Si deve notare come nel corso della gestione della situazione emergenziale, il Governo abbia proceduto a ripetute e successive proroghe della stato di emergenza, che hanno previsto ad oggi come termine ultimo il 31.03.2022, il che dimostra, in realtà, il passaggio dallo stato di emergenza epidemiologico alia gestione ordinaria dell’epidemia, con il conseguente venir meno dei presupposti di temporaneità e, dunque, di straordinarietà giustificativi dell’adozione dei decreti legge e conseguentemente dei DPCM.

II Governo ha deliberato lo stato di emergenza in forza dell’art. 24 del D.Lvo n. 1/2018, il quale – nel prevedere in modo esplicito il termine di durata della stato di emergenza di rilievo nazionale – dispone, al quarto comma, che esso non può superare i 12 mesi ed è prorogabile per non più di ulteriori 12 mesi.

Da ciò si deduce che il termine massimo di proroga di 12 mesi previsto dal codice della protezione civile è spirato il 31 .07.2021 e che il DL n. 105/2021 (che ha prorogato lo stato di emergenza al 31.12.2021) ed il DL n. 221/2021 (che ha prorogato lo stato di emergenza fino al 31.03.2022), nonché tutti i Decreti Legge e provvedimenti amministrativi medio tempore emessi a far data dal 31.07.2021, si pongono al di fuori del “circuito di legittimazione offerto dalla dichiarazione di emergenza” ed eludono il disposto del su citato art. 24 comma 3 D.Lvo n. 1/2018.

 Peraltro, anche qualora si dovesse interpretare Ia norma de qua nel senso di attribuire allo stato emergenziale nazionale la durata massima di 24 mesi, il termine decorrente dal 31.01.2020 giunge comunque a scadenza il 31.01.2022, con il che la proroga ultima al 31 .03.2022 si pone comunque in contrasto con la norma succitata,

Con il susseguirsi – spesso in sovrapposizione tra loro – di decreti legge e DPCM, si è assistito all’introduzione di sempre più stringenti restrizioni e limitazioni nell’esercizio delle libertà e dei diritti fondamentali, fino ad arrivare ad incidere sui diritto al lavoro e ad un’equa retribuzione, con violazione dell’art. 36 Cost, il quale riconosce al lavoratore il diritto ad una retribuzione (…) in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé ed alla propria famiglia una esistenza libera e dignitosa; nonché fino ad escludere una categoria di persone dalla vita sociale, e dunque, da tutte quelle attività che attengono alia sfera della libertà personale, intesa quale diritto di svolgere attività che sviluppino Ia propria dimensione psicofisica (come riconosciuta dal combinato disposto degli artt. 2 e 13 Cost.), piuttosto che alla sfera della libertà di circolazione.

II tutto è avvenuto in violazione dell’art. 3 Cost., il quale, al comma 1, sancisce il principio di uguaglianza, in forza del quale “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alia Iegge, senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali o sociali”, e, al comma 2, statuisce il dovere inderogabile della Repubblica di “rimuovere (con implicito divieto di introdurre) gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Pertanto, quando si introducono misure potenzialmente lesive del principio di eguaglianza e della dignità sociale, occorre far riferimento al rispetto della persona umana, in quanto la dignità della persona e il “criterio di misura della compatibilità dei bilanciamenti, continuamente operati dal legislatore e dai giudici, con il quadro costituzionale complessivo.

Dunque, le misure con cui si comprimono diritti e libertà fondamentali dell’uomo non debbono mai incidere sulla dignità umana e la tutela dell’interesse della salute collettiva, che con esse si intende perseguire, non può mai superare il limite invalicabile del rispetto della persona umana.

II superamento di tale limite, oltre a porsi in contrasto con Ia Costituzione (se non addirittura a porsi al di fuori del perimetro della stessa), può condurre (come, in effetti, conduce) alla violazione dei Trattati lnternazionali e della Carta Europea dei Diritti Fondamentali dell’Uomo, che sanciscono l’inviolabilità dei diritti fondamentali dell’uomo e della dignità della persona umana.

Nel momento in cui viene meno lo stato di emergenza, i diritti e le libertà fondamentali debbono riespandersi nel loro alveo originale, poiché la compressione degli stessi ha raggiunto e superato il limite massimo di tollerabilità; compressione che non può ulteriormente protrarsi, né a tempo predeterminato, né, a maggior ragione, ad libitum, attraverso continui e reiterati prolungamenti di operatività.

L’art. 3 L. n. 241 del 1990, sancisce che «ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato [ … ].

La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria». II legislatore ha reso, pertanto, essenziale Ia motivazione, sotto l’aspetto sia testuale (deve essere motivato) che contenutistico (La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato Ia decisione, in relazione aile risultanze dell’istruttoria).

La motivazione dell’atto amministrativo può essere indicata anche per relationem, nel senso che essa può essere espressa anche con il riferimento ad atti del procedimento amministrativo come, ad esempio, pareri o valutazioni tecniche.

L’art. 21 septies della L. n. 241/90 sancisce, a sua volta,che “E’ nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali”.

Orbene, provvedimenti emanati per fronteggiare l’emergenza epidemiologica, oggetto del presente procedimento, hanno fatto uso per lo più proprio della tecnica della motivazione “per relationem”, con particolare riguardo ai verbali del Comitato Tecnico Scientifico (CTS).

Come è notorio, vi sono stati casi in cui tali atti non solo sono stati resi noti dopo lungo tempo, o addirittura in prossimità della scadenza di efficacia dei DPCM, ma addirittura classificati come “riservati”, o meglio “secretati” (come i cinque verbali datati 28 febbraio, 1 marzo, 7 marzo, 30 marzo e 9 aprile 2020, del CTS) che hanno costituito Ia base delle misure di contenimento adottate per l’emergenza COVID, con omissione degli allegati e documenti sottoposti alle valutazioni del CTS), vanificando di fatto Ia stessa procedura di accesso agli atti e rendendo impossibile la stessa tutela giurisdizionale.

In sostanza, e stata posta in essere tutta una situazione che di fatto non ha consentito la disponibilità stessa degli atti di riferimento, posti a base del provvedimento, con consequenziale invalidità dello stesso provvedimento emanato.

Perciò, da quanto sopra esposto e argomentato, non si ritiene di poter dubitare della illegittimità e invalidità dei DPCM che hanno imposto la compressione di diritti fondamentali e, quindi, dello stesso DPCM del 8/3/2020, che qui interessa e degli altri atti normativi ed amministrativi conseguenti e susseguenti.

Consegue che, trattandosi di atti amministrativi e non legislativi, non soggetti al vaglio della Corte Costituzionale, affermata Ia illegittimità dei medesimi per contrasto con gli artt. 13 e ss. Costituzione, oltre che di altre disposizioni legislative, il Giudice deve unicamente procedere alia loro disapplicazione, in ossequio dello stesso dettato dell’art. 5 della Iegge 2248/1865 all. E, in forza del quale “(…) le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi”.

In ragione di quanto sopra detto e argomentato, dovendosi procedere alla disapplicazione del DPCM del 08.03.2020, si deve concludere per la dichiarazione di inesistenza di alcuna condotta criminosa ascrivibile in capo agli imputati, e si deve conseguentemente pronunciare sentenza di assoluzione, nei confronti degli stessi, perche il fatto non sussiste, nella formula all’evidenza più favorevole al reo, anziché perché il fatto non è più previsto dalla Legge come reato.

In sintesi qualora la Pubblica Amministrazione comprima senza congrua motivazione diritti fondamentali, anche in tempo di Pandemia, compie atti illegittimi e si invita a ricorrere giurisdizionalmente, oltre ad adire i Difensori Civici.

di Mario Pavone

Covid Finestra

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ALBANIA Un rilevante esempio di azione del Difensore Civico Nazionale albanese è rappresentato dal discorso che il medesimo ha tenuto in occasione della Giornata Internazionale dell’Istruzione, svoltasi nello scorso mese di gennaio 2024. Il Difensore Civico Nazionale...

DATI SUL NUMERO DI MINORI DI 14 ANNI CHE COMMETTONO REATI MANCANTI

DATI SUL NUMERO DI MINORI DI 14 ANNI CHE COMMETTONO REATI MANCANTI

ll Difensore Civico della Comunità Valenciana, Ángel Luna, afferma che l'assistenza socio-educativa dei minori di 14 anni che commettono azioni criminali viene trascurata . È così che il Difensore Civico conclude l'indagine d'ufficio, sottolineando che la prevenzione...

DIFESA CIVICA E COESIONE

DIFESA CIVICA E COESIONE

La Difesa Civica si è andata consolidando, nonostante ad essa non sia stato riconosciuto ancora in Italia il rango costituzionale, come un ‘’potere terzo’’ per la Cittadinanza protagonista  nell’ambito delle istituzioni.  Come tale svolge una sua specifica funzione di...