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Riforma Renzi-Boschi, un’altra occasione persa per la Difesa civica
A prescindere dall’esito che avrà l’imminente referendum costituzionale, prendiamo atto della ormai consueta mancanza del tema della difesa civica nazionale all’interno della riforma. Poteva essere una buona occasione per proporre l’Ombudsman nel nostro ordinamento statuale, e non è stata colta. Ci sono forse ragioni dottrinali che ostacolano una costituzionalizzazione del tema della difesa civica nazionale, troppo spesso relegato in dottrina al sottosistema della giustizia amministrativa e confinato al funzionamento degli apparati burocratici dello Stato. Ma prima di essere un antidoto alla maladministration, la difesa civica deve essere ritenuta funzionale alla qualità della stessa democrazia e, più profondamente ancora, alla qualità del foedus, del contratto sociale che vincola i consorziati e li rende cittadini di uno Stato legittimo.
In un periodo storico come l’attuale, tutte le democrazie occidentali sono sottoposte a una pressione endogena che ha a che fare con la sostanza della sovranità popolare e con le sue giuste rivendicazioni rivolte alle oligarchie dominanti. Non c’è classe politica che non venga attraversata da una critica radicale, che spesso, troppo frettolosamente viene tacciata di populismo. Siamo nella fase più complicata per la democrazia rappresentativa, per il fatto che i popoli chiedono, più o meno coscientemente, un innesto di democrazia diretta dentro le procedure formali del decision making. Chi difende il popolo? Manca una funzione tribunizia. Ma è il caso di difenderlo, questo popolo, dopo che ha esercitato la delega rappresentativa? Il punto è questo.
Quello che non si può ammettere, in una temperie come quella presente, è che ci siano perfino limitazioni alla democrazia rappresentativa. Ad esempio, che si proponga di tenere in vita un ramo del Parlamento, ma di togliere ai cittadini il diritto di scegliere i suoi componenti, lasciando a un’elezione di secondo grado interna ai Consigli regionali, il compito di scegliere i nuovi senatori. Significa non capire lo spirito dei tempi: siamo davanti alla crisi del potere politico più seria dalla fine dell’Ottocento. Da questo punto di vista, la crisi della democrazia che stiamo vivendo è analoga alla crisi dello Stato liberale di fine Ottocento: come le istituzioni rappresentative e i partiti ottocenteschi si piegarono davanti alle masse e alle nuove forze sociali emergenti, così la nostra democrazia deve trovare il modo di rappresentare poliarchicamente quelle aspettative e quelle speranze che il costituzionalismo genera e che rischia di frustrare, con grave danno per l’equilibrio politico e sociale. E questa frustrazione può essere ancora più perniciosa se si offre in alternativa un efficientamento, vero o presunto, della partecipazione popolare, che sa tanto di postdemocrazia economicistica.
Sono necessari invece istituti volti a rinnovare ogni giorno quel contratto sociale che sostanzia l’obbligazione politica nella misura in cui richiama costantemente i diritti e la dignità di chi l’ha sottoscritta, circoscrivendo così il perimetro del potere. Ne va della qualità della democrazia, e forse della sua stessa esistenza.
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 Mario Ciampi
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