“LE LEGGI SON, MA CHI PON MANO AD ESSE?”

Ago 2, 2018 | News | 0 commenti

Nel corso della recente conferenza stampa di presentazione del suo mandato, il nuovo Difensore civico della Regione Campania, Giuseppe Fortunato, ha citato tra gli altri l’Alighieri del canto XVI del Purgatorio: “Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?”. Le leggi ci sono, ma chi le fa applicare? Il tema è profondissimo e attiene alla esecutività del potere, oltre che alla sua legalità. La difesa civica naturalmente è implicata in questo snodo fondamentale dell’anatomia del potere, che consiste nella sua immunizzazione dall’arbitrarietà, in buona sostanza, nella sua limitazione dovuta all’assoggettamento di tutti, autorità comprese, alle leggi. La lezione di Marco Lombardo, nel canto dantesco, prosegue e si approfondisce. Fino ad arrivare alla polemica contro la fusione tra la sfera spirituale e quella temporale del potere, che sarebbe la causa remota della corruzione del mondo. Al di là del tema tutto medievale della dialettica tra Impero e Papato, quello che ci interessa del citato XVI canto del Purgatorio è l’insegnamento sulla degenerazione del potere derivante dalla sua assolutezza, dal suo carattere indiviso. «Soleva Roma, che ’l buon mondo feo, due soli aver, che l’una e l’altra strada facean vedere, e del mondo e di Deo. L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada col pasturale, e l’un con l’altro insieme per viva forza mal convien che vada; però che, giunti, l’un l’altro non teme». Quando i due soli si controllavano a vicenda, quando cioè il potere era diviso, tutto procedeva secondo il bene. I problemi cominciano con la sovrapposizione della “spada col pasturale”, con la mancanza di un controllo di un potere sull’altro.

La difesa civica ha la sua finalità proprio nel limitare l’arbitrarietà del potere, nel rammentare la supremazia delle leggi a chi è democraticamente chiamato ad esercitare l’esecutività del potere politico. Il senso della citazione dantesca sta qui. Il difensore civico è colui che deve ricordare ai detentori del potere legittimo e alle amministrazioni che li accompagnano nel delicato compito di gestire la res publica, che non possono tutto, che c’è una legge che li sovrasta, che a questa legge tutti devono sottostare, che i cittadini non hanno insomma affidato una delega piena e in bianco ai loro governanti. La civicrazia è appunto questa costituzionalizzazione del potere. Nessuno può esercitarlo in maniera personale, nessuno è infallibile nei suoi atti di governo. E deve esserci qualcuno pronto a ricordarglielo, deputato a questo scopo. Il difensore civico, appunto. Purché non sia emanazione del potere indiviso, altrimenti diventa una farsa. In fondo, la battaglia di Fortunato è questa: è la battaglia sul senso di un’istituzione che tenacemente ha provato a difendere, convinto della sua necessità per la stessa democrazia, per la sua piena legittimità

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