LE INCOGNITE DEL CIVISMO POLITICO

Lug 1, 2017 | News | 0 commenti

Le incognite del civismo politico

Nei nostri ragionamenti sulla difesa civica, resta probabilmente inespressa una questione fondamentale: fuori dall’orbita più squisitamente istituzionale della difesa civica, il civismo può essere un’alternativa al sistema dei partiti? Guardando anche l’esito delle elezioni amministrative recenti, sembrerebbe di sì. In effetti, la politica locale da molti anni è coperta quasi esclusivamente da liste civiche, che spesso vengono promosse da vecchi dirigenti di partiti politici per ragioni di marketing elettorale. Tolte le operazioni più spudorate di maquillage, rimane tuttavia una qualche ragione oggettiva per preferire il civismo locale ai partiti. Tra le tante ragioni, c’è sicuramente quella della distanza crescente dei partiti tradizionali dalle problematiche locali. Sono lontani i tempi dei grandi partiti di integrazione sociale, dotati di sezioni fino al più sperduto angolo del Paese, con un attivismo vasto e militante. All’epoca, anche il voto locale rispondeva a impostazioni nazionali, spesso ideologiche.

Passando invece alle elezioni generali, e alla politica nazionale, il discorso del civismo si fa più arduo. Perché è più arduo coagulare una parte del popolo, e a questa dare rappresentanza, su una base meramente civica. E in ogni caso il civismo deve selezionare: non può far finta di trovarsi in una democrazia diretta quando utilizza gli strumenti e le procedure della democrazia rappresentativa. Per rappresentare serve onestà certamente, ma anche competenza. E appartenenza culturalmente connotata. Qui sta il punto. Avremo anche poca nostalgia dei partiti ideologici, ma non possiamo sostituirli con compagini non descrivibili sotto il profilo della cultura politica. Che è quella che consente a rappresentanti e a rappresentati di ritrovarsi in un terreno comune, di esprimersi su questioni complesse partendo da premesse valoriali condivise in partenza, di elaborare programmi coerenti e decifrabili. In mancanza di una cultura politica, ci si erge tutt’al più ad assolvere una funzione tribunizia, di difesa dei cittadini contro i soprusi veri o presunti della politica dei partiti. Ma questa fase finisce presto, appena si entra nella stanza dei bottoni e ci si trova a esprimere una posizione di parte. Necessariamente di parte. Pretendere al contrario di rappresentare la volontà generale, è roussovismo. Perché non c’è una volontà comune a tutti i cittadini, non c’è una sola concezione del bene comune. L’unità politica è insomma una conquista lenta e faticosa a partire dal pluralismo sociale, non è un apriori che qualche illuminato pretende ciclicamente di interpretare.

Mario Ciampi

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