Entrato in vigore il 27 gennaio 2018, il nuovo Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD) rappresenta un recente tassello dell’Agenda digitale italiana.
Il decreto, tra le misure che contiene,attribuisce nuove funzioni all’AGID e prevede l’istituzione di un difensore civico digitale. Un soggetto indipendente che sarà destinatario dei reclami dei cittadini e delle imprese in tema di adeguamento delle amministrazioni pubbliche ai criteri di digitalizzazione dettati dal CAD. Quasi a dire che i “diritti digitali” siano più rilevanti di tanti altri diritti più tradizionali ancora non tutelati da un difensore civico nazionale.
Si vede che la digitalizzazione rappresenta un interesse pubblico più forte, non solo in termini di modernizzazione del Paese. In effetti, per molti studiosi, la cittadinanza digitale è l’ultima speranza di ricostruire il legame comunitario e di rinsaldare la fiducia dei cittadini verso le istituzioni. Passa da qui pertanto la strada maestra per prevenire l’anomia sociale, ultima fase dell’individualismo. Non sappiamo se questa speranza sia ben riposta. La trasformazione digitale reca con sé di sicuro una maggiore efficienza dei servizi amministrativi. Si pensi ad esempio al domicilio digitale. Di qui ad attribuirle un valore taumaturgico all’interno delle società complesse, ce ne passa. Soprattutto se non è accompagnata da un adeguato programma di educazione alla cittadinanza digitale. Rileviamo tuttavia che quando si vogliono tutelare concretamente i diritti del cittadino, la difesa civica rimane un’istituzione non sostituibile. Il punto è sui poteri e sugli strumenti che questo difensore civico avrà a disposizione per convincere l’amministrazione o il concessionario del servizio pubblico a rispettare i suoi doveri digitali. Sarà sufficiente la “moral suasion” per garantire i “diritti digitali”?