Il Mediatore europeo ha di recente lanciato una consultazione pubblica sull’uso delle lingue nelle istituzioni europee, negli organismi, negli uffici e nelle agenzie dell’Ue: fino al 30 settembre i cittadini potranno quindi esprimersi, compilando un questionario online, su diverse tematiche: norme e prassi relative alle restrizioni linguistiche, siti web dell’Ue, consultazioni pubbliche. L’argomento non è per nulla secondario per i destini dell’Unione, sempre più incerti e confusi in attesa delle elezioni europee del prossimo anno. Il numero di lingue ufficiali è passato da 4, nel 1958, alle attuali 24. La tutela della diversità linguistica impatta quindi sempre di più sul bilancio e sulla fluidità amministrativa dell’Unione. Lo stesso decision making ne risente: si pensi soltanto alle differenze interpretative tra le versioni linguistiche di un medesimo atto o provvedimento o alla complessità dei lavori parlamentari. O, più semplicemente, si pensi a cosa voglia dire, in termini di macchina organizzativa e finanziaria, che ogni parlamentare possa esprimersi nella propria lingua e i suoi interventi debbano essere tradotti nelle altre 23 lingue.
Non è la prima indagine del Mediatore europeo sulle politiche linguistiche dell’Unione. Già in un’altra circostanza aveva concluso che le istituzioni hanno la facoltà di limitare legittimamente l’uso delle lingue nelle comunicazioni e nei documenti. Nei casi delle consultazioni pubbliche, il tema si fa più controverso: qui la massima differenziazione linguistica favorisce la partecipazione dei cittadini. Un discorso a parte merita la lingua inglese: dopo la Brexit, rimarrà come lingua veicolare neutra o cederà definitivamente il passo al francese e al tedesco? Siamo di fronte a una vera e propria Babele, che nell’esasperato multilinguismo evidenzia molto bene lo stato di confusione in cui si trova l’Europa di oggi. In queste condizioni, le antiche speranze del federalismo europeo sembrano del tutto tramontate. Per questa ragione, sono sempre di più coloro che, forse più realisticamente, auspicano un ritorno alle origini o la definitiva formazione di un assetto confederale basato su singoli progetti di intesa e cooperazione tra Stati. In questa cornice, una consultazione pubblica sulle lingue ufficiali dell’Unione acquista un significato necessariamente più profondo e più ampio. E non è un caso che, ancora una volta, sia una iniziativa del Mediatore ad indicare la frattura da sanare nell’organismo europeo.