La recente definizione che si è data il prof. Conte nell’accettare l’incarico di formare il governo, quella di “difensore del popolo”, ha sollevato polemiche per l’evocazione di Robespierre contenuta indirettamente – e forse neppure consapevolmente – nella definizione. È indubbio che l’appellativo abbia in sé una qualche carica rivoluzionaria. Del resto, il momento è di trasformazione almeno dichiarata della democrazia, e non solo in Italia. Tanto che è sempre più complicato capire come condurre una democrazia in senso popolare. Ad esempio, quasi mai gli interessi dei mercati globalizzati o quelli dei vincoli internazionali collimano con quelli dei popoli. E quasi mai gli interessi immediati dei popoli (ma quali?) sono tutelabili con la rapidità che serve al marketing politico. La definizione di “difensore del popolo” pertanto presenta una problematicità intrinseca. Tuttavia, alimenta anche delle speranze di rinnovamento in chi non si arrende ad assistere al declino inesorabile della democrazia nazionale. Il tanto deprecato populismo è un effetto non calcolato della crisi della rappresentanza e spesso diventa un tonico efficace per lo Stato costituzionale democratico. Non è per nulla detto che trascenda. Almeno se non si lascia travolgere da un ideale democraticista che ipostatizza il popolo, interpretandolo nella sua purezza originaria che qualche illuminato deve incaricarsi di portare nelle istituzioni.
Tutto questo ha poco a che fare con la difesa civica, che deve rimanere terza rispetto al rapporto di rappresentanza e anche rispetto alla relazione governanti-governati. Già nell’antica Roma la funzione tribunizia era esercitata da una magistratura specifica: il tribuno della plebe. Non è una funzione delegabile ad altre istituzioni. È messa in crisi dall’assenza di un ombudsman nazionale, ma anche da una sua generalizzata ipertrofia. La sua introduzione nell’ordinamento dello Stato non può che partire da una constatazione: i limiti al potere non sono più demandabili al formalismo costituzionale o ai bilanciamenti tra istituzioni dello Stato. Né può essere sufficiente la teoria della divisione dei poteri per assicurare un limite sostanziale al potere illimitato e arbitrario. Il costituzionalismo efficace passa quindi per la personalizzazione della funzione tribunizia, che potrebbe meglio regolare e incanalare le conflittualità tra i cittadini e le istituzioni. Con il risultato non secondario di ottenere forse una più effettiva concordia civile.