venerdì 9 Giugno 2023
 Tutela delle vittime di Reato
reati

 

 

Il fatto che la funzione stessa del processo penale – di garanzia per l’imputato – non possa renderlo il luogo destinato alla piena soddisfazione delle esigenze delle vittime costituisce il punto di partenza di un diverso percorso possibile per una piena tutela delle vittime dei reati tramite intervento dei pubblici poteri, vigilanza e sollecito dell’ANDCI in particolare per i Centri di Giustizia riparativa.

 Giustizia Riparativa

di Mario Pavone

A. Introduzione

Con la direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio de1l’Unione Europea n. 29 del 25 ottobre 2012, recepita con decreto legislativo n. 212 del 15 dicembre 2015, viene, per la prima volta, affermata la centralità della vittima, chiamata a partecipare e ad intervenire dopo il reato con un ruolo attivo, come soggetto e non più come mero mezzo di prova.

La valorizzazione della vittima e la necessità di tutelarla, così come richiesto dalla Direttiva n. 29 del 2012 costituiscono un vincolo derivante dall’ordinamento de11’Unione europea capace di orientare le scelte del legislatore nazionale.

Al comma 2 dell’articolo 12, la Direttiva n. 29 del 2012 stabilisce che “gli Stati membri facilitano il rinvio dei casi, se opportuno, ai servizi di giustizia riparativa, anche stabilendo procedure o orientamenti relativi alle condizioni di tale rinvio ”.

Dalla lettura congiunta dell’articolo 12, comma 2, e dell’articolo 8 della summenzionata Direttiva secondo cui “gfi Stati membri provvedono a che la vittima, in funzione delle sue esigenze, abbia accesso a specifici servizi di assistenza riservati, gratuiti e operanti nell’interesse della vittima, prima, durante e per un congruo periodo di tempo dopo il procedimento penale”, deriva l’obbligo per gli Stati membri di rendere disponibili i servizi di giustizia riparativa.

Già la riforma operata con legge 28 aprile 2014, n. 67, recante “Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili”, ha esteso la possibilità di ricorrere a pratiche di mediazione anche per reati commessi da adulti puniti in astratto con pena fino a quattro anni di reclusione, nell’ambito della sospensione del processo con messa alla prova, istituto che ricalca, nelle linee portanti, l’omologo previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, recante “Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”.

E’ consentito al legislatore delegato di strutturare una normativa di settore pregnante.

Anche la “Proposta di Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulla giustizia riparativa in ambito penale 2018” auspica un potenziamento dei programmi di giustizia riparativa in sinergia con il sistema penale.

Ne è derivata la scelta di prevedere, in una legge autonoma, le disposizioni in materia di giustizia riparativa concernenti le garanzie, i presupposti applicativi, il tipo di programmi, le condizioni di accesso, lo standard di formazione dei mediatori, l’utilizzabilità degli esiti dei singoli programmi.

La definizione di giustizia riparativa è stata elaborata sulla base delle indicazioni sovranazionali (tra le principali: la Raccomandmione del Consiglio d’Europa R(99)19; i Basic principles on the use of restorative justice programs in criminal matters, elaborati dalle Nazioni Unite il 24 luglio 2002, la Raccomandazione R (2010)1 sulle Regole del Consiglio d’Europa in materia di probation, adottata dal Comitato dei Ministri il 20 gennaio 2010; la Direttiva 2012/29/UE.

Tale definizione riprende l’approccio di una giustizia che mette in relazione rei, vittime,

pubbliche amministrazioni e

comunità, chiamati a partecipare nella gestione degli effetti distruttivi di un reato e nella ricerca condivisa di un possibile accordo e intervento di riparazione.

L’ingresso dei programmi di giustizia riparativa nella fase dell’esecuzione della pena ha comportato la necessità di prevedere le seguenti garanzie:

a)           il diritto delle parti all’informazione circa i programmi di giustizia riparativa disponibili, la possibilità di accedervi nonché  lo svolgimento e le ricadute della partecipazione a detti programmi;

b)          il diritto delle parti a che i programmi di giustizia riparativa siano su base volontaria e consensuale (con consenso informato e ritrattabile);

c)           la non utilizzabilità in sede processuale delle dichiarazioni rese durante il percorso di giustizia riparativa, in relazione al fatto per cui si procede o per il quale è intervenuta condanna;

d)          il fatto che il mediatore non possa deporre sul contenuto di quanto riferito dalle parti nel corso delle attività svolte, in relazione al medesimo fatto di cui alla lettera c).

Le garanzie sopra indicate sono altresì funzionali all’esigenza di evitare che i percorsi di giustizia riparativa possano causare forme di vittimizzazione secondaria.

La giustizia riparativa (traduzione dell’anglicismo restorative justice) costituisce un tema sul quale si sono accesi, già da alcuni decenni, i riflettori di un dibattito assai vivace che in ragione della sua dimensione multidisciplinare coinvolge non solo il sapere giuridico, ma anche la criminologia, la sociologia, l’antropologia e la psicologia comportamentale e sociale e di pieno interesse per la figura multidisciplinare del Difensore Civico.

Configuratosi inizialmente come nuovo approccio per affrontare il conflitto ge                  nerato dalla commissione di un fatto di reato, il paradigma riparativo si è ben presto affacciato ad altri ambiti del vivere comune (famiglia, scuola, ambiente di lavoro, pubbliche amministrazioni) al punto da poter oggi affermare, senza tema di smentita, l’esistenza di una vera e propria cultura riparativa, intesa come filosofia di prevenzione e gestione dei conflitti fondata su ascolto, dialogo e corresponsabilizzazione.

 

Il paradigma riparativo incentiva infatti l’instaurazione di una dinamica dialogica fra  soggetti.Nello schema dialogico della giustizia riparativa anche il reo diviene co- protagonista nella gestione del conflitto in quanto non vi può essere alcun riconoscimento dei soggetti coinvolti dal reato, né delle conseguenze dannose da essi subite, se egli non intraprende un percorso volto all’assunzione di responsabilità rispetto  al proprio comportamento con ogni attenzione di poteri pubblici. Tale percorso, stimolato dal confronto con la vittima del reato e con i poteri pubblici conduce al superamento della «logica della negazione sistematica» della sofferenza derivante dal reato, favorendo nel reo un ripensamento critico dei propri agiti da cui può scaturire la sincera volontà di adoperarsi per riparare,          il danno causato (inteso nella sua dimensione globale, quale sommatoria dei danni patrimoniali e non patrimoniali).

Si consideri infine che il paradigma riparativo, esalta il principio rieducativo.       La giustizia riparativa si dimostra in grado, da un lato, di neutralizzare il rischio di recidiva e, dall’altro, di promuovere nella comunità la riaffermazione del valore della norma violata.

La Mediazione Penale, alla luce delle linee guida della Raccomandazione n° 19 (99) del Consiglio d’Europa è un “procedimento che permette alla vittima e al reo di partecipare attivamente, se  vi consentono liberamente, alla soluzione delle difficoltà derivanti dal reato con l’aiuto  di  un  terzo indipendente (mediatore) ”.

Con la Giustizia ripartiva, di cui la Mediazione Penale ne costituisce una delle forme più compiute, è data attenzione all’aspetto personale e sociale che investe il crimine.

B. La Formazione dei Mediatori Penali

Con riferimento alla formazione dei mediatori, la Direttiva n. 29 del 2012 richiede una formazione


iniziale accurata e un training costante. La formazione deve altresi insistere sulla deontologia del mediatore, e sulle abilità e competenze comunicative che il mediatore mette in campo con le vittime, i rei e gli altri soggetti potenzialmente coinvolti. Su tale ultimo profilo si soffermano le linee guida della European Commission for the Ef]ìciency ofJustice (CEPEJ) — Better Implementation of Mediation in the Member States af the Councfl Of Europe —, richiedendo un “saper fare” specifico sia in ragione della gravità dell’illecito, della vulnerabilità delle vittime, delle caratteristiche dei perpetratori, sia in riferimento alla capacità del mediatore di riconoscere e promuovere nelle parti il riconoscimento di emozioni e sentimenti spesso distruttivi e pervasivi.Il documento di riferimento più analitico sugli standard di formazione del mediatore resta comunque la Raccomandazione R(99)19 del Consiglio d’Europa, relativa alla qualificazione della figura del mediatore in ambito penale, la quale richiede che:

(a)         i mediatori dovrebbero essere reperiti in tutte le aree socialì e dovrebbero possedere generalmente una buona conoscenza delle culture locali e comunitarie (art. 22);

(b)    i mediatori dovrebbero ricevere una formazione iniziale di base ed effettuare un training nel servizio prima di intraprendere l’attività di mediazione (art. 24);

(c)    i mediatori dovrebbero acquisire, attraverso la formazione, “un alto livello di competenza che tenga presenti le capacità di risoluzione del conflitto, i requisiti specifici per lavorare con le vittime e gli autori di reato nonché una conoscenza base del sistema penale” (art. 24).

La questione della formazione è stata affrontata anche nel rapporto finale del tavolo 13 della consultazione pubblica denominata “Stati generali dell’esecuzione della pena” istituita con decreto ministeriale 8 maggio 2015, secondo cui il percorso formalivo del mediatore penale dovrebbe prevedere:

(A)   una formazione teorico-pratica sulla giustizia riparativa e su tutti i suoi programmi.

Il mediatore deve inoltre maturare la capacità di costruire e seguire l’iter di una mediazione in ogni sua fase ed elaborare un modello operativo per il funzionamento concreto di un Centro per la

giustizia riparativa (redigere e gestire il fascicolo della mediazione, contattare le parti, svolgere i colloqui preliminari e l’incontro di mediazione, compiere la restituzione dell’esito all’autorità giudiziaria, definire le attività riparative, seguire l’eventuale fase negoziale, realizzare il follow up, la verifica e il monitoraggio dell’attività, dialogare con tutti gli attori coinvolti nel percorso).

(B)    una formazione sugli aspetti giuridico-istituzionali e criminologici connessi alla giustizia riparativa che consenta dì acquisire: elementi di diritto e procedura penale, di diritto penitenziario, con particolare attenzione alla normativa sovranazionale relativa alla giustizia riparativa e alla mediazione; elementi di vittimologia e competenze circa la normativa di tutela e protezione delle vittime di reato; nozioni di criminologia, con particolare attenzione alla eziologia del crimine, ai fattori criminogenetici e alle tecniche di neutralizzazione, in sintesi a tutte quelle competenze indispensabili per lavorare con vittime e autori di reato.

C.Giustizia riparativa: le proposte della Commissione Lattanzi

La Commissione, presieduta da Giorgio Lattanzi, Presidente emerito della Corte costituzionale e Presidente della Scuola Superiore della Magistratura, ha depositato di recente la propria relazione che è stata resa nota sul sito del Ministero della Giustizia.

La relazione interviene sostanzialmente in tre ambiti: processo penale; prescrizione e rimedi per la durata irragionevole del processo penale; sistema sanzionatorio e giustizia riparativa.

In conformità alle indicazioni provenienti da fonti sovranazionali (Direttiva 2012/29/UE, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato; Raccomandazione del Consiglio d’Europa relativa alla giustizia riparativa in materia penale CM/REC(2018)8) nonché alle Linee programmatiche espresse dal Ministro Cartabia la Commissione valorizza i percorsi di giustizia riparativa quale potenziale beneficio sia per le vittime, sia per gli autori di reato. Ciò, con lo scopo di “consegnare alla politica e alla collettività il valore di un approccio al fare giustizia costruttivo, inclusivo, volto alla riparazione dell’offesa, rispettoso della dignità della vittima e dell’autore di reato”.

A tal fine suggerisce quali criteri direttivi adottabili dai decreti legislativi recanti la disciplina organica della giustizia riparativa:

a) la previsione di una disciplina organica della giustizia riparativa quanto a nozione, principali programmi, garanzie, persone legittimate a partecipare, Tanto al fine di adempiere alla Direttiva 2012/29/UE allineando l’Italia ad ordinamenti giuridici che hanno già da tempo optato in tal senso; di dare impulso alla costituzione di Centri di giustizia riparativa sul territorio; di contribuire a individuare lo standard di formazione degli operatori di giustizia riparativa e di erogazione dei programmi di giustizia riparativa;

b) la previsione di una disciplina della formazione affinchè gli operatori di servizi di giustizia riparativa siano capaci di operare in modo serio, professionale, rispettoso e tale da evitare la vittimizzazione secondaria;

c) la previsione di una disciplina dei Centri di giustizia riparativa affinché forniscano servizi omogenei, atti a garantire percorsi di giustizia riparativa affidabili, qualitativamente elevati e che non inducano vittimizzazione secondaria;

d) la previsione di specifiche garanzie per l’attuazione dei programmi di giustizia riparativa, quali in particolare il diritto di difesa e la corretta gestione e tutela dei dati personali;

e) la previsione della possibilità di accesso ai programmi di giustizia riparativa senza preclusioni in relazione alla gravità dei reati e di recepimento degli esiti del ricorso a detti programmi in ogni stato e grado del procedimento di merito, nell’ambito degli istituti previsti dal codice e dalle leggi speciali.

Come da tempo richiesto dall’ANDCI, quello della giustizia riparativa è certamente un percorso parallelo a quello del processo penale, che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale. E’ un istituto che ad oggi conosce una timida presenza nell’ordinamento ma che invece ora può costituire la base di una vera e propria rivoluzione.

D.Il Decreto attuativo

Il Governo ha approvato lo scorso 4 Agosto lo schema di Decreto attuativo della Riforma della Giustizia.

Lo schema del decreto attuativo della riforma della giustizia penale di cui alla legge delega n. 134/2021 accelera la definizione dei processi anche attraverso la digitalizzazione e disciplina in modo organico la giustizia riparativa

La riforma si pone una serie di diverse finalità, tra le quali è preminente l’esigenza di accelerare il processo penale anche attraverso una sua deflazione e la sua digitalizzazione. Alcune misure sono rivolte al potenziamento delle garanzie difensive e della tutela della vittima del reato.

La modifica interviene sul codice di procedura penale, sulle norme di attuazione del codice di procedura penale, sul codice penale, sulla collegata legislazione speciale e sulle disposizioni dell’ordinamento giudiziario in materia di progetti organizzativi delle procure della Repubblica, per la revisione del regime sanzionatorio dei reati, per l’introduzione di una disciplina organica della giustizia riparativa con finalità, come sopra accennato, di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo penale, nel rispetto delle garanzie difensive e dei principi sanciti dalla legge delega.

La riforma include  disposizioni per il rafforzamento degli istituti di tutela della vittima del reato e per l’introduzione di una disciplina organica sulla giustizia riparativa, nel rispetto della disciplina internazionale e delle direttive dell’Unione europea.

Dal punto di vista pratico è finalmente prevista, come da tempo richiesta dall’ANDCI, l’istituzione di Centri per la giustizia riparativa presso ogni Corte di Appello a tutela delle vittime di reato. Novità che si affianca, senza sostituire il processo penale.

Ora si tratta di fare partire subito questi Centri per la giustizia riparativa

Agosto 2022

 

 

Centri di assistenza e supporto alle vittime di reato

L’ANDCI, Associazione Nazionale dei Difensori Civici Italiani, ha da sempre  rappresentato l’urgenza e la necessità che sia riformato il sistema degli indennizzi per le Vittime di Reato. Oramai è indispensabile e improrogabile dopo l’avvio della Riforma della Giustizia Penale varata dal Parlamento e ancora in attesa dei Decreti Attuativi.   

L’ANDCI, d’intesa con Civicrazia, che comprende oltre quattromila Associazioni a tutela del Cittadino, è impegnata a sostenere in tutte le sedi istituzionali competenti l’emanazione di una normativa equa che salvaguardi i diritti delle Vittime troppo spesso ignorati dal Legislatore.

In particolare occorre subito  l’istituzione dei Centri di Assistenza per le Vittime di Reato per la quale l’ANDCI sta intervenendo a vari livelli per l’attuazione della Direttiva Europea del 2012 che li prevede.           

 

I Centri di assistenza e supporto alle vittime di reato

Mario Pavone

Come ha ricordato, di recente, il Difensore Civico della Regione Emilia Romagna,  ‘si tratta di una questione di grande rilievo  per la quale occorre intervenire a partire dall’art.111 della Costituzione sul giusto processo per assicurare un diverso, forte ruolo della Vittima in ogni fase del procedimento, accompagnata da una efficace rete di Centri di Sostegno,oltre che da pratiche concrete di mediazione e di conciliazione”, come indicate nella recente Riforma della Giustizia Penale.

È questo, inoltre, l’orientamento adottato fin dall’inizio dal Legislatore europeo, ad esempio già nella Raccomandazione (85)11 del Consiglio d’Europa relativa alla posizione della vittima nell’ambito del diritto e della procedura penale.

Riconoscendo la realtà di sistemi di giustizia essenzialmente incentrati sul rapporto fra Stato ed autore del reato,  – e con ciò destinati di fatto a “trascurare” (se non proprio ad escludere) la persona offesa, – la R (85)11 si richiamava all’opportunità di garantire al soggetto un insieme di diritti in ogni fase del procedimento, alla luce dei bisogni espressi dai cittadini.

Tali diritti-bisogni possono essere riassunti nell’esigenza di ottenere le informazioni necessarie a sporgere denuncia e a porsi in relazione col sistema di giustizia (ambito del tutto inedito per la vittima che, come è ovvio, “non fa/è questo di mestiere”); di ricevere le informazioni relative alle modalità da intraprendere al fine di ottenere il risarcimento del danno; di essere trattati dalle forze dell’ordine e dagli operatori del sistema di giustizia in modo comprensivo e rassicurante, così da evitare ulteriori processi di vittimizzazione; di essere tutelati nella privacy, vedendo garantito il rispetto per la propria vita privata dalle incursioni dei mass media, limitando la divulgazione di notizie e informazioni a quanto  risulti strettamente necessario alla prosecuzione delle indagini; ed infine di essere protetti, all’occorrenza estendendo tale tutela ai propri familiari, dalle possibili minacce e ritorsioni che, non di rado, provengono dall’autore di reato o dalle organizzazioni illegali alle quali egli appartiene.

Gli organismi europei ed internazionali hanno ripetutamente richiamato l’attenzione degli Stati membri sull’esigenza di dar vita a strutture di assistenza adeguate, capaci di fare efficacemente fronte alle necessità delle vittime; a tal fine sono state elaborate una serie di indicazioni nell’intento di favorire il riconoscimento e la maggiore tutela delle vittime di reato.

Un primo atto di rilevanza internazionale è certamente la Convenzione europea relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti siglata dagli stati membri del Consiglio d’Europa il 24 novembre 1983, a Strasburgo, che promuove la specifica attenzione verso “coloro che hanno subìto gravi pregiudizi al corpo o alla salute causati direttamente da un reato violento intenzionale (e di) coloro che erano a carico della persona deceduta in seguito a tale atto” (art. 2).

L’attenzione rivolta a tali soggetti concerne prevalentemente il riconoscimento di danni da risarcire economicamente, chiamando gli Stati a garantirne la copertura anche nei casi in cui l’autore di reato rimanga ignoto, o sia privo di mezzi economici di sussistenza in seguito alla dichiarazione di indigenza.

Successivamente,  il 28 giugno 1985, il Comitato dei Ministri, organo decisionale del Consiglio d’Europa, sottoscrive la Raccomandazione (85) 11 concernente la Posizione delle vittime nell’ambito del diritto penale e della procedura penale, dove tra le proposte di riforma inserisce quella relativa alla creazione di una rete pubblica e professionale di strutture di assistenza alle vittime.

È stato questo un atto di rilevanza fondamentale, nel quale si richiede che gli Stati membri prevedano, sia in termini legislativi che operativi in tutte le fasi del procedimento, una serie di misure a tutela delle vittime. Particolare menzione viene rivolta agli strumenti della giustizia riparativa quali la mediazione e la conciliazione, riconoscendone altresì i vantaggi che, in termini di deflattività,  conseguiono per il sistema penale, alleggerendone il carico dei processi.

Tale Raccomandazione racchiude, dunque, diverse iniziative: innanzitutto proprio la creazione di una rete professionale e statale di strutture di assistenza alle vittime; secondariamente, l’incentivazione di pratiche alternative di risoluzione del conflitto, quali la mediazione e conciliazione tra autore e vittima di reato; in terzo luogo l’importanza, – da non sottovalutare anche nei suoi effetti psicologici e cioè ricostruttivi per il soggetto che ha patito il reato, – del risarcimento del danno, da realizzarsi con ogni mezzo a disposizione. Quindi viene per la prima volta compiutamente espresso un concetto centrale nel dibattito su questi temi, riconoscendo il diritto alla partecipazione diretta e attiva della vittima in ogni tutela apprestata dall’ordinamento, aspetto che stenta tuttavia ancora oggi ad essere recepito nel nostro ordinamento.

È tuttavia con la Decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea, relativa alla Posizione della vittima nel procedimento penale (2001/220/GAI) del 15 marzo 2001, che si giunge ad una svolta decisiva per quanto concerne la percezione e il trattamento in concreto delle problematiche concernenti la vittimizzazione.

In tale prospettiva “ciascun Stato membro prevede nel proprio sistema giudiziario penale un ruolo effettivo ed appropriato delle vittime. Ciascuno Stato si adopererà affinché alla vittima sia garantito un trattamento debitamente rispettoso della sua dignità personale durante il procedimento e ne riconosce i diritti e gli interessi giuridicamente protetti con particolare riferimento al procedimento penale. Ciascuno Stato membro assicura che le vittime particolarmente vulnerabili beneficino di un trattamento specifico che risponda in modo ottimale alla loro situazione”.

Fondamentale è il “diritto di ottenere informazioni” (art. 4), implicando che “ciascuno Stato membro garantisca, e già dal primo contatto con le autorità incaricate dell’applicazione della legge, che la vittima abbia accesso – con i mezzi che lo Stato ritiene adeguati e, per quanto possibile, in una lingua generalmente compresa – alle informazioni rilevanti ai fini della tutela dei suoi interessi”.

Tali informazioni si riferiscono appunto ai servizi o alle organizzazioni in grado di rispondere positivamente alle sue nuove esigenze. Inoltre, si afferma che “ciascun Stato membro, promuove, sviluppa e migliora la cooperazione tra gli Stati membri, in modo da consentire una più efficace protezione degli interessi della vittima nel procedimento penale o sotto forma di reti direttamente collegate al sistema giudiziario o di collegamenti tra organizzazioni di assistenza alle vittime”.

E l’art. 13 ribadisce come ciascuno Stato membro sia tenuto a promuovere “l’intervento, nell’ambito del procedimento, di servizi di assistenza alle vittime, con il compito di organizzare la loro accoglienza iniziale e di offrire loro sostegno e assistenza successivi attraverso la messa a disposizione di persone all’uopo preparate nei servizi pubblici o mediante il riconoscimento e il finanziamento di organizzazioni di assistenza alle vittime”.

L’A.N.D.C.I.  chiede anche la modifica della Carta Costituzionale, con particolare riferimento all’art. 111. Quest’ultimo infatti, nel delineare i principi del c.d. “giusto processo”, non presenta alcun riferimento al soggetto passivo del reato.

L’A.N.D.C.I. chiede che il Garante per le vittime di reato – Special Ombudsman – e in mancanza il Difensore Civico svolga  un ruolo di impulso e di coordinamento centrale, in particolare (come emerge dal rapporto Censis) riguardo a:

formazione degli operatori,

promozione, radicamento e diffusione delle esperienze,

valutazione dei progetti di intervento di volta in volta elaborati per far fronte sia a problemi di portata più ampia, sia a questioni più specifiche (si vedano come esempi, in questo secondo caso, progetti rivolti alle persone vittime di tratta, ai minori vittime di violenza assistita; ed ancora progetti anti bullismo nelle scuole e rivolti ai genitori; interventi verso gli anziani vittime di reati contro la proprietà etc.).

Primaria è dunque la questione degli operatori e della loro formazione, richiamata più volte  anche dalla normativa europea e oggi posta al centro della Macroregione Mediterranea. In particolare, la migliore strada percorribile è quella di potenziare e arricchire il bagaglio conoscitivo degli operatori attualmente impiegati, ampliando il ventaglio delle loro competenze grazie ad approfondimenti sulle materie sociologiche, psicopedagogiche, sulle scienze giuridiche, nell’ambito della criminologia e della vittimologia, nonché richiamando le funzioni ed il ruolo svolto dal servizio sociale territoriale e da quello sanitario.

Al contempo, occorre rafforzare (e in taluni casi proprio sviluppare) l’empatia dell’operatore – magari attraverso esercitazioni e corsi ad hoc – , enfatizzandone la capacità di esercitare un ascolto attivo e partecipe nei confronti di altri soggetti e della loro sofferenza.a

La necessaria capacità organizzativa e gestionale di ciascuno in tali Centri  si inserisce nella capacità di lavorare in équipe e, dunque, occorre sviluppare le effettive risorse a livello relazionale. Ovviamente si tratta di promuovere per tutti una formazione iniziale, mentre in altri casi occorre già dar vita a momenti di formazione continua nelle modalità dei corsi di aggiornamento.

D’obbligo in fase d’esecuzione, e certo non rinviabile oltre – pena il venir meno degli obiettivi a cui è tesa tutta la progettazione – la collaborazione intersettoriale, concreta e fattiva, fra i vari attori che, a diverso titolo, si occupano di queste problematiche: dunque operatori di victim support, forze dell’ordine, magistratura, servizi sociali, associazioni di volontariato sul territorio, associazioni di categoria, professionisti.

E ciò partendo dal presupposto che senza una reale, seria e generosa, sinergia fra pubblico e privato,  (terzo settore, professionisti  e volontariato) ogni sforzo volto a tutelare (meglio, e più seriamente) le vittime della criminalità e dell’ingiustizia sociale è destinato a cadere nel nulla, producendo invece ulteriori danni.

E, con grande probabilità, altre vittime.

Mario Pavone 

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