SOFFERENTI PSICHICI IN STRUTTURE NON ACCREDITATE: UN ASSURDO ANCHE PER LA RILEVANZA AI FINI DI IMPUTABILITA’
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Gen 20, 2023 | News | 0 commenti

SOFFERENTI PSICHICI IN STRUTTURE NON ACCREDITATE: UN ASSURDO ANCHE
PER LA RILEVANZA AI FINI DI IMPUTABILITÀ

ll Difensore Civico presso la Regione Campania  Avv. Giuseppe Fortunato ha evidenziato che le prestazioni di residenzialità sanitaria psichiatrica territoriale per adulti vengono esternalizzate a favore di operatori economici privi di accreditamento istituzionale e di autorizzazione.

Emergono ovviamente con immediatezza come le cure svolte da tali operatori economici non possano essere considerate appropriate con grave lesione al diritto alla salute.

Ma l’inadeguatezza  emerge anche considerando la rilevanza dei “disturbi della personalità” ai fini della imputabilità.

1.Premessa

Le Sezioni Unite della Cassazione(1) hanno recentemente ben precisato che anche i “disturbi della personalità”, come quelli da nevrosi e psicopatie, possono costituire causa idonea ad escludere o grandemente scemare, in via autonoma e specifica, la capacità di intendere e di volere del soggetto agente ai fini degli articoli 88 e 89 c.p..

Con tale sentenza la Cassazione ha chiarito i concetti di capacità di intendere e di volere del soggetto agente, di imputabilità, di colpevolezza, di infermità mentale.

In base alla importante decisione, i disturbi della personalità, che si caratterizzano per essere “inflessibili e maladattativi”, possono acquisire rilevanza ai fini della imputabilità  in quanto incidenti sulla capacità di intendere e di volere.

I centri di cura hanno, quindi, a che fare con persone potenziamente non imputabili, il che rende i requisiti di accreditamento e di autorizzazione ancora più rilevanti.

Tali disturbi, costituiti in genere  da nevrosi e psicopatie, quand’anche non inquadrabili nelle figure tipiche della nosografia clinica iscrivibili al più ristretto novero delle “malattie” mentali, possono costituire anch’essi “infermità”, anche transeunte, rilevante ai fini degli artt. 88 e 89 c. p., ove determinino lo stesso risultato di pregiudicare, totalmente o grandemente, le capacità intellettive e volitive.

Tali disturbi sono idonei a determinare  una situazione di assetto psichico incontrollabile e ingestibile (totalmente o in grave misura), che, incolpevolmente, rende l’agente incapace di esercitare il dovuto controllo dei propri atti, di conseguentemente indirizzarli, di percepire il disvalore sociale del fatto, di autonomamente, liberamente, autodeterminarsi.

In particolare, secondo le Sezioni Unite, a conferma della maggiore ampiezza che attualmente riveste il termine di infermità mentale rispetto a quello di malattia, non interessa tanto che la condizione del soggetto sia esattamente catalogabile nel novero delle malattie elencate nei trattati di medicina, quanto che il disturbo abbia in concreto l’attitudine a compromettere gravemente la capacità sia di percepire il disvalore del fatto commesso, sia di recepire il significato del trattamento punitivo.

Il concetto di disturbo della personalità può, pertanto, costituire causa idonea ad escludere o fortemente scemare, in via autonoma e specifica, la capacità di intendere e di volere del soggetto agente.

  1. I disturbi della personalità

Secondo la Dottrina scientifica in materia, i disturbi della personalità non sono caratterizzati da specifici sintomi o sindromi ma dalla presenza esasperata e rigida di alcune caratteristiche di personalità(2).

Con il termine personalità (o carattere) si definisce il modo stabile che ciascuno di noi si è costruito, con le proprie esperienze, a rapportarsi con gli altri e con il mondo.

I tratti che la compongono rappresentano le caratteristiche del proprio stile di vita e il  rapporto con gli altri: così esiste, per esempio, il tratto della dipendenza dagli altri o della sospettosità o della seduzione oppure  dell’amor proprio.

Normalmente questi tratti devono essere abbastanza flessibili a seconda delle circostanze: così in alcuni momenti sarà utile essere più dipendenti o passivi del solito, mentre in altri sarà più funzionale essere seducenti.

I disturbi della personalità sono caratterizzati dalla rigidità e dalla presentazione inflessibile di tali tratti, anche nelle situazioni meno opportune.

Ad esempio, alcune persone tendono sempre a presentarsi in modo seducente indipendentemente dalla situazione nella quale si trovano, rendendo così difficile gestire la situazione; altre persone, invece, tendono ad essere sempre talmente dipendenti dagli altri che non riescono a prendere autonomamente proprie decisioni.

Solitamente tali tratti diventano così consueti e stabili che le persone stesse non si rendono conto di mettere in atto comportamenti rigidi e inadeguati, da cui derivano le reazioni negative degli altri nei loro confronti, ma si sentono sempre le vittime della situazione e alimentano il proprio disturbo.

Così, ad esempio, una persona che presenta un disturbo paranoide di personalità, non capisce che, con il suo comportamento sospettoso, non dà fiducia agli altri, e si “tira addosso” fregature e reazioni aggressive, confermandosi l’idea che non ci si può fidare di nessuno.

I disturbi di personalità sono suddivisi,secondo la più diffusa classificazione psicopatologica, in tre categorie:

A – Disturbi caratterizzati dal comportamento bizzarro:

Disturbo paranoide di personalità: chi ne soffre tende ad interpretare il comportamento degli altri come malevolo, comportandosi così sempre in modo sospettoso.

Disturbo schizoide di personalità: chi ne soffre non è interessato al contatto con gli altri, preferendo uno stile di vita riservato e distaccato dagli altri.

Disturbo schizotico di personalità: solitamente è presentato da persone eccentriche nel comportamento, che hanno scarso contatto con la realtà e tendono a dare un’assoluta rilevanza e certezza ad alcune intuizioni magiche.

B – Disturbi caratterizzati da un’alta emotività:

Disturbo borderline di personalità: solitamente chi ne soffre presenta una marcata impulsività ed una forte instabilità sia nelle relazioni interpersonali sia nell’idea che ha di sé stesso, oscillando tra posizioni estreme in molti campi della propria vita.

Disturbo istrionico di personalità: chi ne soffre tende a ricercare l’attenzione degli altri, ad essere sempre seduttivo e a manifestare in modo marcato e teatrale le proprie emozioni.
Disturbo narcisistico di personalità: chi ne soffre tende a sentirsi il migliore di tutti, a ricercare l’ammirazione degli altri e a pensare che tutto gli sia dovuto, data l’importanza che si attribuisce.
Disturbo antisociale di personalità: chi ne soffre è una persona che non rispetta in alcun modo le leggi, tende a violare i diritti degli altri, non prova senso di colpa per i crimini commessi.

C – Disturbi caratterizzati da una forte ansietà:

Disturbo evitante di personalità: chi ne soffre tende a evitare in modo assoluto le situazioni sociali per la paura dei giudizi negativi degli altri, presentando quindi una marcata timidezza.
Disturbo dipendente di personalità: chi ne soffre presenta un marcato bisogno di essere accudito e seguito da parte degli altri, delegando quindi tutte le proprie decisioni.

Disturbo ossessivo compulsivo di personalità: chi ne soffre presenta una marcata tendenza al perfezionismo ed alla precisione, una forte preoccupazione per l’ordine e per il controllo di ciò che accade.

Sin qui la dottrina psicologica in materia. Ma quando tali disturbi assumono rilevanza ai fini della imputabilità?

3.Le motivazioni della sentenza

Secondo la sentenza della Suprema Corte, i “disturbi della personalità” possono costituire causa idonea ad escludere o grandemente scemare, in via autonoma e specifica, la capacità di intendere e di volere del soggetto agente ai fini degli articoli 88 e 89 c.p., sempre che siano di consistenza, intensità, rilevanza e gravità tali da concretamente incidere sulla stessa; invece, non assumono rilievo ai fini della imputabilità le altre “anomalie caratteriali” o gli “stati emotivi e passionali”, che non rivestano i suddetti connotati di incisività sulla capacità di autodeterminazione del soggetto agente.(3)

Si tratta di una sentenza importante perché non si limita a precisare il principio di diritto, ma ad operare una vera ricognizione delle fondamentali linee del rapporto tra scienza psichiatrica e giudizio penale, nella consapevolezza di una “necessaria collaborazione tra giustizia penale e scienza; a quest’ultima il giudice non può in ogni caso rinunciare – pena l’impossibilità stessa di esprimere qualsiasi giudizio- e non può che fare riferimento alle acquisizioni scientifiche che, per un verso siano quelle più generalmente accolte, più condivise, finendo col costituire generalizzata prassi applicativa”.(4)

La Corte, infatti, riconosce che anche ai disturbi della personalità possa essere attribuita un’attitudine, scientificamente condivisa, a proporsi come causa idonea ad escludere o grandemente scemare la capacità di intendere e di volere del soggetto agente, qualora si presentino gravi e consistenti e siano in un rapporto di causalità con il fatto di reato commesso.

La Suprema Corte chiarisce il termine infermità di cui agli artt.88 e 89 c.p., spiegando che quando il legislatore penale ha voluto fare riferimento al diverso concetto di alterazione anatomica o funzionale, l’ha fatto espressamente, utilizzando proprio il diverso termine di malattia come nell’art. 582 c.p :“malattia nel corpo e nella mente”.

Per contro : “non interessa tanto che la condizione del soggetto sia esattamente catalogabile nel novero delle malattie elencate nei trattati di medicina, quanto che il disturbo abbia in concreto l’attitudine a compromettere gravemente la capacità sia di percepire il disvalore del fatto commesso, sia di recepire il significato del trattamento punitivo.

La Corte precisa che “i confini di rilevanza ed applicabilità dell’istituto della imputabilità dipendono, in effetti, anche in qualche misura dal concetto di pena che si intenda privilegiare: nell’ottica retributiva di questa, se la pena deve servire a compensare la colpa per il male commesso, non può non rilevarsi che essa si giustifica solo nei confronti di soggetti che hanno scelto di delinquere in piena libertà”  così come ,sotto il profilo di un’ottica preventiva, ponendosi in dubbio il rapporto tra libertà del volere e funzione preventiva (in cui ”il principio della libertà del volere non è più funzionale alla fondazione e giustificazione della pena”),” tale funzione preventiva potrà rivolgersi solo a soggetti che siano effettivamente in grado di cogliere l’appello conte nuto nella norma, e fra questi non sembra che possano annoverarsi anche i soggetti non imputabili, in quanto tali ritenuti non suscettibili di motivazione mediante minacce sanzionatorie”.

In conseguenza, gli articoli 88 e 89 vanno letti  in stretto rapporto, sistematico e derivativo con il generale disposto dell’art. 85 c.p., cosicchè è pertinente  il rilievo di autorevole dottrina, secondo cui, proprio a conferma della maggiore ampiezza del termine di “infermità” rispetto a quello di “malattia”, “non interessa tanto che la condizione del soggetto sia esattamente catalogabile nel novero delle malattie elencate nei trattati di medicina, quanto che il disturbo abbia in concreto l’attitudine a compromettere gravemente la capacità sia di percepire il disvalore del fatto commesso, sia di recepire il significato del trattamento punitivo”, che lasci integra o meno la capacità di “poter agire altrimenti”, posto che – come di sopra si è  solo nei confronti di soggetti dotati di tali capacità può concretamente parlarsi di colpevolezza.

In questa ottica, conclude la Corte, i disturbi della personalità, come in genere quelli da nevrosi e psicopatie, quand’anche non inquadrabili nelle figure tipiche della nosografia clinica iscrivibili al più ristretto novero delle “malattie” mentali, possono costituire anch’esse “infermità”, anche transeunte, rilevante ai fini degli artt. 88 e 89 c. p., ove determinino lo stesso risultato di pregiudicare, totalmente o grandemente, le capacità intellettive e volitive.

4.La rilevanza sociale del problema

I disturbi di personalità possono anche generare tendenze suicide.

Un rischio sociale appare rappresentato dalla possibile devianza di chi è affetto da disturbi di personalità, ove non vi siano cure mediche, psicologiche e sociali adeguatamente integrate.

Comportamenti quali la tossicodipendenza o la violenza ne sono alcune forme esterne.

I disturbi mentali sono curabili, così che è possibile ottenere, per il paziente, un migliore livello di adattamento alla vita e maggiore sicurezza per sé ed altri..

Il problema è dunque:

  • riconoscere in tempo i disturbi della personalità per poter intervenire prima che il disturbo assuma forme manifeste più drammatiche;
  • intervenire con terapie idonee e, ove sia necessario, assicurare i livelli inderogabili in strutture pubbliche o in strutture accreditate e autorizzate e cercare in esse ogni massimo risultato.

In tal modo il sofferente psichico potrà avere una sempre crescente tutela e responsabilizzazione del proprio agire.

Avv. Mario Pavone

NOTE

(1) v. Cass Sez Unite sent.n.9163/2005 del 25/1-8/3 2005

(2) v. I disturbi della personalità in Ispico.org

(3) v. Luigi Viola, nota a sentenza SS.UU. n.9163/005 in Altalex.it

(4) v. Buoncristiano, Brevi considerazioni sull’infermità mentale, in Altalex.it

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